Chiara Gioffredo, poco dopo essersi laureata, si è trasferita per un anno negli Stati Uniti, lavorando a Washington e esplorando il Montana e la costa ovest in fantastici viaggi on the road. Ecco i suoi consigli e le sue riflessioni sugli USA, un Paese contraddittorio ma pieno di meraviglie.
Hai lavorato per un anno negli USA, a Washington, quella di partire è stata una scelta facile?
Ci ho pensato un po’, ma non troppo. Ricordo un piovoso 25 aprile trascorso a pensare a quanto avessi sempre snobbato gli Stati Uniti, e a domandarmi se davvero volevo andare a lavorare là, in quello che vedevo come l’impero del consumismo e del capitalismo.
Ma mi ero appena laureata e cercavo un lavoro che mi consentisse di guadagnare qualcosa e di viaggiare al tempo stesso. Mi sarebbe andato bene qualcosa pure in Italia, ma poi si è presentata questa opportunità. Prendere o lasciare. Io ho preso! E a settembre ero nella capitale.
Si sa molto poco di Washington, spesso oscurata dalla vicina New York. Com’è dunque la vita nella capitale?
Frenetica. Efficiente. Multietnica. Politica.
A Washington c’è un rimescolio continuo di gente che approda nella capitale per lavorare, soprattutto in posizioni governative, arrivando da tutto il mondo. Come a New York, tutti corrono, tutti lavorano moltissimo per portare a casa la pagnotta o per inseguire i propri sogni, ma dimenticate l’ambiente scapestrato e bohémien, teatrale e mozzafiato, della Grande Mela: alle sei tutto chiude, il centro governativo, i lunghi viali costeggiati da palazzi dalle vetrate a specchio, il National Mall si svuotano; le famiglie animano i centri commerciali di periferia; i bambini giocano nei giardini davanti a casa.
Per qualche motivo che ancora mi sfugge, la città ha un’anima profondamente democratica: sarà forse per la componente multietnica, o per la numerosa popolazione nera residente (la più alta negli USA, per questo è nota anche come “città cioccolatino”), ma nessuno vede di buon occhio l’attuale inquilino della Casa Bianca, ed è meglio non nominarlo in giro, peggio ancora su Uber, il famoso servizio di “taxi condiviso” dove la maggior parte dei conducenti è di colore.
A parte le famose marce di protesta che si svolgono ogni tanto – come la Women’s March per la parità di genere e contro gli abusi sulle donne –, Washington sa essere una città molto tranquilla. È più vivibile di New York: gli spazi sono più larghi, appena fuori dal centro ogni via è larga come da noi sarebbe largo un corso, e ci sono così tanti alberi che sembra di stare in un piccolo paese di provincia.
Degli USA si sente parlare o molto male o molto bene, qual è la tua opinione ora dopo un anno passato in America?
La frase che ho ripetuto più spesso da quando sono tornata è la stessa che si userebbe per una relazione ingarbugliata che non si sa per che verso sbrogliare: it’s complicated. Gli Stati Uniti sono un paese ricco di contraddizioni, e queste contraddizioni non sono riducibili a un giudizio facile e univoco.
Ad esempio: la disoccupazione è molto bassa e c’è abbondante lavoro un po’ per tutti; positivo ma: la competizione è feroce e si lavora tantissimo. Si respira un’aria di libertà e possibilismo, come se il sogno americano fosse ancora vivo, come se il “futuro orgiastico” di cui parlava Fitzgerald nel “Grande Gatsby” fosse ancora a portata di mano. Eppure questa libertà non è per tutti. Esistono ancora profonde spaccature sociali: tra bianchi e neri, tra città e campagne, tra gli Stati ricchi delle due coste e quelli più poveri dell’interno.
È una società che festeggia Martin Luther King ed elegge Obama, che produce tra i migliori artisti, intellettuali e scienziati odierni, ma che ancora prevede la pena di morte, che non aderisce agli accordi internazionali sul clima e che non garantisce le cure sanitarie alle fasce più deboli della popolazione.
Ti piacciono queste interviste? Qui puoi trovarne altre di persone che come Chiara hanno vissuto o vivono all’estero e di persone che sono invece nate da genitori di diverse nazionalità!
Quali sono le differenze più grosse tra USA e Italia?
La salsa Alfredo e i pepperoni! A parte gli scherzi: la cucina “italiana” in America è, la maggior parte delle volte, italoamericana. C’è poco da lamentarsi: non è italiana, è la naturale evoluzione, in un paese straniero, della cucina italiana, con aggiunte e varianti. Per cui la pizza ha il salame, a volte l’ananas, gli spinaci (ebbene sì) sono considerati una base accettabile assieme alla salsa di pomodoro (?), e a volte invece dell’impasto di farina usano il cavolfiore sminuzzato (sì).
I costi della telefonia mobile sono esorbitanti: per avere una buona offerta con un buon operatore si spende sui 100$ al mese, e i giga non sono nemmeno illimitati!
Le autostrade sono gratis e gli autogrill non esistono.
Tutte le case hanno almeno un televisore gigante, se sono affittate a più persone ce n’è uno in ogni camera in cui si dorme.
Quasi tutti pagano quasi ovunque con la carta di credito: un caffè, un accendino, qualsiasi cosa può essere pagata con la carta, e così si gira senza contanti, anche per mesi.
Tutto quello che si vede nei telefilm sui bicchieroni di caffè fumante provenienti da Starbucks è vero: gli americani bevono litri di caffè ma, al contrario di quello che si potrebbe pensare, il loro filter coffee è ottimo e non ha nulla da invidiare al nostro espresso.
Fumare in pubblico è considerato tabù, almeno nelle zone “bene” delle grandi città, per cui è difficile vedere qualcuno con una sigaretta in mano. Alla sera, però, nelle discoteche o fuori dai locali, fumano quasi tutti: sono fumatori da weekend.
Il sabato e la domenica mattina è tempo di brunch: il cola-pranzo a base di uova, bacon, toast e salsicce (diffusissima anche la versione vegana, con tofu scramble e veggie sausages), accompagnato da un cocktail (Mimosa e Bloody Mary i più popolari).
Quando ci si siede a tavola in un locale, la scaletta da seguire è chiara: si ordina, si consuma, e ci si alza. Rimanere a chiacchierare in attesa di caffè o ammazzacaffè o indugiare seduti, sperando nella digestione, non è previsto. È agosto, sono le due del pomeriggio, e tu hai appena mangiato anche le gambe del tavolo? Zitto e cammina.
Durante il tuo periodo in America sei anche andata alla scoperta di altri Stati. Come hai organizzato questi viaggi e cosa hai visto?
Sono stata a Philadelphia, New York, alle imperdibili cascate del Niagara, e poi, soprattutto, ho girato in macchina per il Montana e l’Oregon e, sulla costa ovest, sono scesa fino in California, a San Francisco. Prenotavo motel lungo la strada oppure campeggi; a volte mi è capitato di dormire in macchina.
Nonostante non sia il mezzo più ecologico, l’auto è sicuramente il modo migliore per vedere gli Stati Uniti e i suoi sterminati spazi: praterie, montagne, coste. Ho guidato attraverso foreste e riserve indiane e lungo una delle scenic routes più famose del paese (Beartooth Highway). Ho attraversato il famoso Yellowstone National Park, dove ho visto bufali, orsi, aquile reali, e paesaggi quasi lunari (Mammoth Springs).
Ho camminato sola per i sentieri spettacolari del Glacier National Park, tra laghi e ghiacciai. Ho persino incontrato un orso a bordo strada che si grattava un orecchio! E poi sono finita per caso nell’hotel dove è stato girato Shining di Stanley Kubrick (il Timberline Lodge in Oregon, a due passi da un tratto mozzafiato del Pacific Coast Trail) e ho fatto il bagno nel lago vulcanico più profondo degli USA, un bacino d’acqua del blu più blu che avessi mai visto.
Insomma, una bella esperienza, no?
Quali sono secondo te le tappe imperdibili per un viaggio a Washington e negli USA?
A Washington senza dubbio da non perdere è il National Mall, con i suoi monumenti e i musei, a cui aggiungerei l’interessante National Geographic Museum (ebbene sì, la sede del National Geographic è a DC) e l’imperdibile Mount Vernon, appena fuori DC, residenza del primo presidente George Washington.
Non andate a Chinatown se cercate buon cibo cinese: ci sono ottimi ristoranti sulla Quattordicesima, e Adams Morgan e Columbia Heights abbondano di locali dove poter mangiare e trascorrere una serata in compagnia, magari osservando la gente locale rilassarsi dopo una giornata di lavoro.
Una passeggiata domenicale all’Arboretum o a Rock Creek Park è l’ideale per chi cerca un po’ di relax in natura. Se vi manca l’atmosfera europea, invece, fate un salto a Georgetown, la parte più vecchia della città, oppure spingetevi fino a Old Town Alexandria, le cui strade acciottolate ricordano l’Irlanda. In città, prendete la metro e scendete a Eastern Market: troverete un mercato coperto, un grazioso mercatino, e un ristorante gestito da italiani dove fare aperitivo; per di più, sarete a due passi dal Campidoglio e dalla Library of Congress, la biblioteca più grande del mondo.
Nel resto degli USA? New York è la città. Bisogna provare la pioggia battente alle quattro di mattina in mezzo a un via vai di gente e clacson urlanti per capire che significa il nickname “the city that never sleeps”. San Francisco è il blues e l’America beat. Andate a Portland (Oregon) se volete una sorpresa “green”, rilassata e carica di fermento creativo, giovane.
Per tutto il resto… prendete una macchina, un camper, un furgoncino e hit the road!
Chiara ha vissuto negli USA come straniera, ma se volete invece sapere come si vive con un padre americano e una madre italiana, qui potete trovate l’intervista a Nathaniel.