Giorno 29, Ponte sul Kamo, Kyoto
Una piccola manifestazione, una bandiera della pace, un uomo che suona dei piatti e indossa un cappello da delfino. Su un cartellone c’è la foto del primo ministro e di una donna che non conosco e la scritta far right.
Mi chiedo se sia stata dichiarata qualche guerra mentre ero in giro, la manifestazione sembra un po’ raffazzonata, quasi fatta per urgenza.
Sul ponte due uomini sulla sessantina ci fermano per darci dei volantini e ci spiegano in inglese si tratta di una manifestazione religiosa. Non nel senso che intendiamo noi però, non è il loro credo che cercano di inculcare nei passanti né stanno venerando uno dei tanti buddha. Tramite la loro religione, in un modo un po’ chiassoso e variopinto, ci chiedono la pace.
Uno dei due uomini mi mostra l’adesivo che porta sul petto.
DO NOT KILL,
ANYWHERE, ANYTIME.
Già.
Giorno 30, Madoka, Kyoto
Si mangiano okonomiyaki e yakisoba da Madoka. Un’insegna rosa sulla strada che porta alla stazione della metro.
Al nostro arrivo c’è solo il proprietario che sta guardando la tv. Accende la piastra del nostro tavolo, ci offre i fazzoletti umidi con cui pulire le mani, piattini e bacchette.
Quando arriva la moglie abbiamo già da bere sul tavolo.
“Oh birra!”, dice ridendo, ma poi il suo stupore aumenta vedendo cosa io e Sandra stiamo bevendo.
“Oh! Sake!”
“Hai!”, e si ride.
Pochi minuti dopo arriva con un piattin di arachidi e biscotti da spiluccare nell’attesa e più avanti un vassoietto di cubetti di zucca calda da mangiare con lo stuzzicandenti. Soffice, la buccia verde scuro.
Il marito prepara i nostri ordini sulla piastra al bancone. Spaghetti con carne e cavolo e la frittata tipica di Osaka. Quando arrivano gli okonomiyaki lei procede con le salse. Ma sa che la maggior parte dei presenti è francese e quindi:
“Un“, primo strato scuro e dolce
“Deux“, polvere di alghe e fiocchi di pesce
“Trois“, maionese giapponese.
Tra yakisoba e okonomiyaki le clienti sono servite, ora può tornare a guardare la tv col marito e tirare un paio di rutti.

Giorno 31, Vegans Cafè and Restaurant, Kyoto
Non sono mai stata in questa zona della città, sud-est, l’opposto del nord-ovest in cui abito. Per raggiungere il ristorante dalla fermata della metro percorro un viale alberato che dà su uno stretto fiume. Tanti piccoli ponti saltano da una parte all’altra e il mio percorso dura giusto il tempo del tramonto.
Serata buffet internazionale. Non conosco nessuno ma le amicizie si fanno velocemente. Trovo un posto su uno dei tavolini bassi. Via le scarpe, seduta sul cuscino. Il cibo è eccezionale, tra onigiri, verdure in pastella, melanzane, funghi e tofu fritto faccio il bis un paio di volte. Sedute con me ci sono una varietà di storie.
La ragazza tedesca è qui per tre mesi per insegnare il tedesco. “Per ora assisto alle lezioni, poi dovrò prepararne anche io. Gli studenti sono universitari, anche al secondo anno, ma non sanno la lingua. Non parlano.”
“Forse non hanno il coraggio di parlare ma capiscono bene”, ipotizza la ragazza francese alla mia sinistra.
Vive col suo ragazzo (o marito?) fuori città e lei si occupa di relazioni con l’estero per un’azienda che vende matcha. Lui è giapponese ma si sono conosciuti negli USA a una serata a tema Giappone. Poi lei si è trasferita qui, lui è rimasto là ancora per un po’.
Perché spesso parlando non si mettono i soggetti?
“I giapponesi pensano sempre a mettersi nei panni all’altro quindi c’è una grande parte implicita e data per scontata nei loro dialoghi perché si sa e capisce cosa l’altro già sa e non lo si ripete.”
Per gli stranieri però spesso questo significa non capire di cosa si sta parlando o di perdersi per strada il cambio di argomento.A loro fianco siede un ragazzo svizzero, un artista. L’ottava volta in Giappone per lui, questa volta per restare sei mesi a studiare. Il suo viaggio di andata è stata la Transiberiana, mi chiedo come deciderà di tornare a casa.L’ultima ragazza viene da Taiwan e mi chiede di fare lo spelling del mio nome. Lavora da un mese a Kyoto e trova che il clima in ufficio sia un po’ freddo. Anzi, non sta ancora lavorando perché le imprese Giapponesi funzionano all’opposto delle nostre. Ti cercano con poca esperienza, e se hai studiato in un altro campo non importa. Sono loro a formarti per un certo periodo, vogliono che tu sia un foglio bianco per loro. E devi essere giovane. Se ti azzardi a prendere un anno di pausa dopo l’università rischi di perdere il treno per sempre.Per dolce torta con pezzi di zucca e una mandorla sopra un ricciolo di crema di castagne.
Per finire una foto tutti insieme, viaggio in metro condiviso e saluti ad ogni fermata.
