Chiara D’ascenzo ha vissuto in Brasile per ben due volte, lavorando in progetti sociali come educatrice. Durante questo periodo ne ha anche approfittato per visitare i Paesi circostanti, scattando fotografie mozzafiato e facendo incontri indimenticabili.
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Hai vissuto e lavorato in Brasile per ben due volte, di cosa ti occupavi e dove risiedevi?
Ho vissuto per un anno a Foz do Iguaçu, nel Sud del Brasile. La città si trova sulla Triplice Frontiera, al confine con Argentina e Paraguay, nel luogo in cui il fiume Iguaçu affluisce nel Paranà. A Foz si trovano le Cascate dell’Iguaçu, patrimonio mondiale dell’Unesco e considerate una delle 7 meraviglie naturali del mondo: attorno ad esse negli ultimi 30 anni si è sviluppata una florida economia turistica . La città però ha iniziato a svilupparsi quando nel 1975 si iniziò la costruzione della centrale idroelettrica di Itaipu che portò decine di migliaia di persone da tutto il Brasile a spostarsi qui in cerca di occupazione.
Durante il mio anno di permanenza ho lavorato presso una ONG brasiliana tramite il Servizio Civile Nazionale con l’associazione italiana Cesc Project. Ho lavorato come educatrice con bambini ed adolescenti in due centri a Porto Meira, quartiere periferico della citta’ in cui vivono 40.000 persone circa. Io e le altre volontarie abbiamo affiancato gli educatori nelle attività educative, proponendo attività sportive ed artistiche; io nello specifico mi sono occupata di seguire le attività di scacchi e un corso di inglese per bambini.
Perché hai scelto proprio il Brasile?
Nel 2012 a 19 anni avevo trascorso tre mesi come volontaria in una missione nel Nordest del Brasile, in cui sono giunta quasi per caso tramite una serie di coincidenze. Dopo il mio ritorno durante questi anni ho sempre coltivato il desiderio di ritornare in Brasile per fare un’esperienza più strutturata e con più strumenti personali e professionali ed ho continuato a mantenere connessioni con la cultura e la lingua.
Ciò che mi ha affascinato del Brasile è la sua cultura meticcia e sincretica frutto dell’incontro-scontro di culture e di mondi: l’Europa colonizzatrice, i popoli originari, gli schiavi deportati dall Africa Occidentale e i popoli che successivamente sino al giorno d’oggi hanno trovato casa in questo paese-continente. Il Brasile come un gigante antropofago che mangia le culture che incontra per assimilarle e creare qualcosa di nuovo.

Com’era la tua giornata tipo?
La mia routine era abbastanza ripetitiva, mi svegliavo presto, facevo colazione con succhi e frutte tropicali e andavo a lavorare in base ai giorni in uno dei due progetti in cui prestavo servizio. La mia quotidianità era scandita dal lavoro a tempo pieno, le chiacchiere con i ragazzi del centro, le passeggiate nel quartiere e l’amicizia con le mie compagne di avventura (Viviana, Marinella, Giusy, Valeria e Sabrina).
Durante la settimana uscivo poco, solitamente per andare al cinema, o a qualche corso di danza, ma nel fine settimana assieme alle mie compagne organizzavamo sempre gite nelle città vicine, nei musei o nella natura della Foresta Atlantica, che ti sovrasta con la sua energia. Nel tempo libero frequentavamo ambienti universitari, in particolare un luogo significativo nella mia esperienza è stato il Sudacas, una sorta di bar – circolo culturale in cui c’era sempre musica dal vivo, cineforum, dibattiti letterari ed in cui in cui ho incontrato moltissime persone meravigliose, tutte determinate a creare e a portare avanti una cultura alternativa a quella dominante, cosa non facile in un paese come il Brasile.
Quali sono le grandi differenze tra Brasile e Italia?
Inizierei dalle differenze materiali: le proporzioni georgrafiche sono diverse, le città sono molto grandi e si impiega molto tempo per andare da un posto all altro. Io sono abituata ad andare a piedi ovunque ma qui ho dovuto abituarmi ad usare Uber e mezzi pubblici ed a pianificare con anticipo anche i più banali spostamenti. Poi sicuramente il clima subtropicale è imprevedibile e diverso da ciò a cui siamo abituati: pioggie torrenziali che possono durare giorni e che tutto allagano, caldi intensissimi e debilitanti, ma anche un inverno da non sottovalutare (soprattutto quando non si ha il vetro alla finestra in bagno) con temperature che arrivano a pochi gradi e costruzioni per nulla adatte al freddo.
Poi ci sono le differenze culturali e sociali; la zona del Sud del Brasile è stata colonizzata da italiani e tedeschi prima e giapponesi ed arabi poi. Si tratta di una regione molto ricca di commerci e traffici, in cui la produttività e l’efficienza sono componenti importanti nel modo di vivere delle persone e forse per questo motivo l’esclusione di chi resta fuori da queste dinamiche è ancorta piu forte e stigmatizzata. Qui la cultura afrodiscendente non è molto riconosciuta e valorizzata, quella dei Guarani ( popolo che che da migliaia di anni vive in queste terre) del tutto marginalizzata e rimossa.
Le diseguaglianze economiche sono evidenti: a pochi metri da casa si trovava una “invasao”(una favela per intenderci) e ad altettanti metri un centro commerciale di lusso. Nel tragitto da casa mia al centro città ( un quarto d’ora di auto) si passava da uno scenario di miseria e precarietà a uno di ricchezza e sfarzo: le differenze sociali del mondo riassunte in pochi metri e io in mezzo a queste contraddizioni.

Cosa ti sei portata a casa da questa esperienza?
Da questa esperienza mi sono portata a casa la consapevolezza che le relazioni umane sono sempre qualcosa di complesso e di meraviglioso, che hanno bisogno di tempo. Ho capito una volta di più che le differenze culturali sono una ricchezza nella relazione, non un impedimento. Ho conosciuto persone, culture e lingue diverse e mi sono innamorata della varietà del mondo e delle persone.
Sicuramente dopo un anno vissuto in un luogo povero materialmente e culturalmente mi sono ritrovata con una visione meno romantica della povertà e con la consapevolezza che i diritti sono qualcosa di imprescindibile e per cui dobbiamo continuare a lottare.
Un’abitudine che mi porto a casa è quella di “tomar terere'”, bevanda paraguaiana (come il mate ma con acqua fredda) e rito conviviale ed energizzante.
Durante la tua permanenza hai anche visitato diversi Paesi del Sud America, quali? E quali sono secondo te le tappe da non perdere?
Vivendo a Foz era possibile raggiungere il Paraguay e l’Argentina praticamente a piedi pertanto ho avuto la possibilità di conoscere bene le città confinanti di Ciudad del Esta e di Puerto Iguazu, gigantesco duty free a cielo aperto la prima e tranquilla cittadina in mezzo alla selva la seconda.
Se penso a un momento particolarmente significativo di questo intenso anno mi viene in mente la visita a due villaggi Guarani, l’incontro con questa cultura millenaria che deve lottare e resistere per poter sopravvivere in un paese come il Brasile che non fa nulla per tutelare i diritti di queste comunità. Io e le mie amiche assieme ad un gruppo di antropologi dell’università siamo stati accolti dai capi delle comunità con un lungo rituale al termine del quale abbiamo parlato a lungo con i rappresentanti della comunità che ci hanno esposto le difficoltà della loro vita quotidiana chiedendo di portare la loro lotta e la loro storia nei luoghi da cui provenissimo.
Al termine del mio servizio ho viaggiato inoltre nel nord dell Argentina, in Bolivia e in Paraguay. Sono partita dalla città di Salta e da li’ mi sono spostata via terra fino ritornare a Foz. Sicuramente la provincia di Jujuy, la Quebrada di Humuahuaca e il Salar de Uyuni sono luoghi meravigliosi ed unici, ma ciò che ha reso indimenticabile questo viaggio zaino in spalle sono stati gli incontri con le persone per le strade, nei mercati, sui pulmini con cui ho attaversato deserti e valicato le Ande. Anche le 27 ore di traversata del Chaco paraguaio da Santa Cruz de la Sierra ad Asuncion in un bus degli anni ’80 resteranno difficilmente dimenticabili dal mio corpo!
Se vi trovate a queste latitudini il mio consiglio è di buttare via le guide e non pianificare cosa fare e vedere: perdetevi nei mercati contadini, fermatevi a mangiare cibo per la strada, parlate con gli sconosciuti senza guardare l’orologio. E non sottovalutate il Paraguay, sempre dimenticato dai viaggiatori, ma ricchissimo di storie e culture e naturalisticamente incontaminato.
Io resto con una grande saudade, e la certezza che presto o tardi ritornerò in questa terra, e auguro ad ognuno di voi di poter un giorno ballare una cumbia sotto all’immenso cielo australe, ballare e dimenticarsi di tutto, per un istante.